Ambaradam

guerra etiopiaA volte la cultura popolare precede quella accademica. Non da molti anni c’è piena coscienza (e ci sono studi documentati e approfonditi) dei crimini dei militari italiani in Etiopia, nel corso della guerra fascista del 1935-1936, occasione in cui furono sperimentate e utilizzate armi chimiche contro anche la popolazione civile: se la classe politica democratica ha preferito non aprire quella tragica pagina della storia italiana, gli studiosi hanno dovuto aspettare l’apertura degli archivi per poter fare luce.

Una delle battaglie decisive di quella guerra fu nel febbraio 1936 sul massiccio dell’Amba Aradam: l’esercito italiano vinse con molte perdite (800 militari) dopo dieci giorni di conflitto, ma i morti etiopi furono ancor di più: almeno 20 mila, tra militari e civili. A causare la strage furono i gas tossici, utilizzati non solo per vincere sul campo, ma anche per indurre gli etiopi a non ribellarsi all’esercito occupante all’indomani della fine del conflitto.

etiopiaTornati in patria, i militari italiani cominciarono a utilizzare l’espressione «come ad Amba Aradam» per indicare una situazione caotica. L’espressione ha avuto successo e col tempo, complice una pronuncia che risulta buffa alle orecchie di un italiano, la parola «ambaradam» si è trasformata in «caos divertente». Resta la curiosa storia di una parola che rimanda a una tragica vicenda, i cui confini si sono potuti spiegare soltanto molto tempo dopo.

Il pregiudizio anti-italiano in America

Il linciaggio di italiani a New Orleans (1891)
Il linciaggio di italiani a New Orleans (1891)

Tra fine ‘800 e inizio ‘900 milioni di italiani si riversarono negli USA, moltissimi clandestinamente. Il loro afflusso, che continuò fino alla metà del XX secolo, suscitò apprensione nella popolazione locale. Gli italiani erano considerati pericolosi, non solo perché tra di loro era alto il tasso di propensione al crimine (furti, stupri, omicidi: fatto normale tra i gruppi sociali ed etnici più emarginati) e l’incidenza della mafia era notevole, ma anche perché erano identificati con una confessione religiosa, il cattolicesimo romano, giudicata insidiosa dalla maggioranza protestante: i cattolici italiani e irlandesi in particolare bevevano alcol e non rispettavano le leggi locali, le loro mogli figliavano a ripetizione ed erano sospettati di essere più fedeli al Papa che alla Costituzione, finendo per creare disordine e allarme tra i cittadini onesti, quelli che “pagavano le tasse” e pretendevano dal governo la protezione dall’invasione straniera, clandestina o regolare che fosse. Il KKK prese come obiettivo anche gli italiani: negozi furono incendiati, immigrati furono linciati e la polizia chiudeva spesso un occhio. Del resto, tra un bianco impettito vestito di tutto punto con la camicia inamidata e un uomo visibilmente straniero, un po’ basso, dalla pelle più scura e gli abiti un po’ trasandati, gli stessi poliziotti non esitavano a fermare, per i controlli di routine, quest’ultimo. Se dalla carta di identità poi risultava italiano, era una buona occasione per divertirsi un po’… I politici statunitensi cavalcavano il razzismo e il pregiudizio e molti giornali autorevoli arrivarono a giustificare le violenze anti-italiane: nel 1891 il New York Times plaudì al linciaggio di 11 italiani accusati di mafia a New Orleans, mentre il governatore della Louisiana nel 1911 disse che gli italiani erano “peggiori dei negri”. Anche la costruzione delle chiese cattoliche era presa di mira già da diversi decenni: bisognava proteggere l’America dal tentativo di cattolicizzarla e di modificarne la sua identità “Wasp”. Oggi gli italo-americani sono pienamente integrati nella politica, nell’economia, nelle arti e nello sport: eppure hanno avuto un passato di vittime del pregiudizio e hanno rappresentato una comunità accusata – non sempre a torto – dei peggiori crimini. Parliamo di cento anni fa, ma forse anche un po’ di oggi.

L’alluvione del 1994

Il 5-6 novembre 1994 il Piemonte meridionale veniva colpito da una terribile alluvione, che devastò una delle regioni più ricche d’Italia e causò 70 morti e migliaia di sfollati. La laboriosità e la caparbietà tipiche dei piemontesi hanno permesso loro di ricostruire tutto in pochi mesi.

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L’8 settembre 1943

Caduto Mussolini il 25 luglio, alla guida del governo andò il Maresciallo Pietro Badoglio. Questi, in accordo con il re, avviò subito le trattative con gli Alleati per concludere la guerra. Fu firmato così un armistizio segreto il 3 settembre: il governo italiano chiese del tempo per organizzarsi in vista della prevedibile invasione tedesca, aspettando uno sbarco anglo-americano più a nord. Ma il generale Eisenhower decise di rendere pubblica la resa italiana, che annunciò alle 18:30 dell’8 settembre. Vista l’impossibilità di mantenere il riserbo, Badoglio fu costretto a fare lo stesso annuncio alla radio pochi minuti dopo.

L’8 settembre è stato definito da alcuni storici “la morte della patria”, per la condizione di degrado e umiliazione che subì l’Italia. Ma l’8 settembre è anche, per molti altri studiosi, la data del riscatto: proprio di fronte alla situazione drammaticamente subalterna e moralmente degradata del Paese, molti scelsero la strada del riscatto, optando per la causa della libertà e dell’antifascismo: nacque la Resistenza.

“Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.”

Il terribile agosto 1943 di Milano

Città considerata strategica, essendo il cuore industriale dell’Italia, Milano fu obiettivo degli aerei alleati fin dal 1940: subì infatti il primo bombardamento e vide la prima vittima il 15 giugno 1940, appena cinque giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia fascista. Seguirono continui bombardamenti, ma nella memoria della città il periodo peggiore è l’agosto 1943. Mussolini era stato arrestato il 25 luglio e, per accelerare l’uscita dell’Italia dalla guerra, gli Alleati intensificarono il lancio delle bombe su Milano, con l’obiettivo di distruggere in breve tempo la città e incoraggiare il nuovo governo Badoglio a chiedere l’armistizio. Tra il 7 e l’8 agosto cominciò una serie infinita e devastante di bombardamenti, inizialmente con bombe incendiarie. La notte tra il 12 e il 13 agosto gli inglesi utilizzarono ben 504 aerei (321 Lancaster e 183 Halifax), che gettarono in una sola notte 2.000 tonnellate di bombe, che distrussero in poche ore metà di Milano. La città, quasi deserta (la maggior parte dei cittadini si era trasferita in campagna e solo gli uomini andavano a Milano per lavorare di giorno, fatto che permise di ridurre il numero delle vittime), continuò a subire distruzioni fino alla fine della guerra, nel 1945, ma mai i cittadini milanesi diedero la colpa di ciò a chi lanciava le bombe: sapevano che responsabilità della guerra era solo del fascismo.

Nei bombardamenti dell’agosto 1943, oltre alle fabbriche e alle abitazioni civili, furono danneggiati o distrutti importanti monumenti: il Duomo, la Basilica di Sant’Ambrogio, il Castello Sforzesco, la Galleria Vittorio Emanuele, la Scala (il palco si salvò dall’incendio), Palazzo Reale, la Biblioteca Sormani, Santa Maria delle Grazie (ma L’Ultima Cena si salvò per miracolo!) e quasi tutte le altre chiese di interesse artistico.

Con le macerie degli edifici distrutti durante la guerra, fu costruito negli anni successivi il Monte Stella. L’11 maggio 1946, appena un anno dopo la fine della guerra, con un concerto diretto da Arturo Toscanini, riapriva la Scala, ricostruita in tempi da primato per ridare speranza alla città devastata.