Francesca Bertini

Francesca Bertini è lo pseudonimo di Elena Seracini Vitiello, figlia di una attrice fiorentina e di un trovarobe (persona che per uno spettacolo teatrale deve trovare il materiale per la scenografia) napoletano. Nata nel 1892, è diventata fin da giovane una attrice di teatro, passando poi al cinema muto. La sua autorevole presenza in scena e la sua bellezza l’hanno trasformata nella prima vera diva del cinema del XX secolo, capace di imporre sue decisioni al regista: alle cinque del pomeriggio interrompeva il lavoro per bere un tè con le amiche al Grand Hotel e pretendeva sempre un vestito nuovo per ogni scena. Ha lavorato in Italia, Francia e Spagna (dove era conosciuta come “encantadora“) ed è stata molto popolare in Sud America. Tra i suoi quasi cento film: Histoire d’un Pierrot (1913), La signora delle camelie (1915), Odette (1916), Tosca (1918), La donna nuda (1922). Ha recitato anche in Novecento, di Bertolucci, nel 1975. Ma già nel 1921 aveva rinunciato a Hollywood per sposare Alfred Cartier. E’ morta nel 1985.

Anna Kuliscioff

Benché nata in Russia, presso una famiglia ebraica della Crimea nel 1854 con il nome di Anna Moiseevna Rozenštejn, Anna Kuliscioff è considerata italiana a tutti gli effetti, perché è stata madre – tra tanti padri – del Partito Socialista Italiano (PSI), nato nel 1892. Trasferitasi a studiare filosofia in Svizzera, cambiò il nome in Anna Kuliscioff, per sfuggire alla polizia dello zar, impegnata nella lotta contro gli anarchici a cui la giovane donna si era avvicinata. A Zurigo conobbe Andrea Costa, anarchico italiano con cui si trasferì in Italia e con cui ebbe una relazione sentimentale e una figlia, Andreina. Insieme, i due passarono col tempo dall’anarchismo al socialismo marxista. Rotto il legame con Costa, tornò in Svizzera per studiare medicina, specializzandosi in ginecologia in Italia. Andò poi a Milano, dove conobbe Filippo Turati, con cui instaurò un legame sentimentale. A Milano era conosciuta come la “dottora dei poveri”, perché andava nei quartieri più poveri della città a curare chi non poteva permetterselo. Insieme con Turati, padre del PSI, diresse la rivista Critica Sociale, offrendo un contributo preziosissimo fatto di traduzioni e letture di spessore europeo che contribuirono a rendere più autorevole e meno provinciale il socialismo italiano. La sua principale battaglia fu il suffragio universale esteso alle donne, ed essere riuscita a convincere lo stesso Turati (inizialmente contrario) le conferì prestigio e considerazione nel mondo socialista. Gli ultimi anni della sua vita furono piuttosto tristi, con le divisioni tra i socialisti, l’avvento del fascismo e l’uccisione di Giacomo Matteotti, una delle menti più brillanti del PSI che lei stessa aveva contribuito a far crescere. Morì nel dicembre 1925 ed è sepolta al Cimitero Monumentale di Milano, dove riposano coloro che hanno dato lustro alla città.

Gian Carlo Menotti

Gian Carlo Menotti nasce nel 1911 in provincia di Varese. Fin da piccolo mostra passione e interesse per la musica: scrive canzoni e libretti d’opera. Frequenta così il Conservatorio di Milano. Quando muore il padre, Arturo Toscanini gli consiglia di andare a studiare negli Stati Uniti, dove incontra Bernstein e Barber. Inizia così la sua carriera di compositore e librettista, di opere in italiano e, soprattutto, in inglese. Il legame con la musica italiana e l’attività nel mondo anglo-sassone gli danno una particolare sensibilità e attenzione all’incontro tra le due culture. E’ così che nel 1958 crea il Festival dei Due Mondi, con sede a Spoleto (in Umbria): un momento di confronto e incontro tra i due mondi artistici, europeo e americano. La rassegna, prevalentemente internazionale, aiuta l’Italia a sprovincializzarsi e molti autori e appassionati di musica e di arti teatrali a conoscere esperienze lontane. Dagli anni settanta, il Festival si svolge anche a Charleston (South Carolina). Nel 1972 compra la splendida Yester House, in Scozia, una splendida villa con un grande parco, in cui può trovare l’ispirazione per il suo lavoro. Menotti adotta anche un figlio, l’attore Francis Menotti, che gli succede alla guida del Festival. Gian Carlo Menotti muore nel 2007.

Giovanni Falcone

Giovanni FalconeNato a Palermo nel 1939, Giovanni Falcone studia Giurisprudenza e diventa magistrato. Opera fin da subito in Sicilia e nel 1978 riesce a farsi trasferire a Palermo, dove entra negli uffici del magistrato Rocco Chinnici e lavora accanto a un altro giudice presto molto famoso, Paolo Borsellino. Insieme organizzano uno degli uffici giudiziari più efficienti, facendo fare enormi progressi alla lotta contro la mafia. Una delle innovazioni è l’attenzione particolare ai flussi bancari e finanziari, che permette di dimostrare con chiarezza il potere, in Italia e all’estero (soprattutto negli Stati Uniti) di Cosa Nostra, la mafia siciliana. L’arrivo alla Procura di Palermo di Antonino Caponnetto (che sostituisce Chinnici, assassinato dalla mafia nel 1983) porta una novità: la nascita del “pool” antimafia, cioè un gruppo di magistrati che si occupano solo di mafia e che lavorano scambiandosi informazioni ed esperienze, ottimizzando le risorse per le indagini. I successi sono subito notevoli, come l’arresto del boss mafioso Tommaso Buscetta e il completamento del “Maxiprocesso”, che nel 1987 porta a centinaia di condanne per mafia. Proprio quell’anno cominciano a manifestarsi i cattivi rapporti tra Falcone e alcuni ambienti della Magistratura, portando a un arretramento nel lavoro antimafia della Procura di Palermo. In quegli anni Falcone è al centro di aspre polemiche, che di fatto rompono in fronti contrapposti il blocco anti-mafia, favorendo notevolmente la crescita del potere di Cosa Nostra.

Falcone viene anche chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della Giustizia, allo scopo di innovare a livello nazionale la lotta alla mafia, ma le divisioni sono ormai radicate. Il 23 maggio 1992, di ritorno da Roma a Palermo, mentre percorre l’autostrada che porta dall’aeroporto di Punta Raisi al capoluogo siciliano, Giovanni Falcone subisce uno spaventoso attentato. Cinque quintali di tritolo (TNT) fanno esplodere la sua auto e quelle della scorta. Rimarranno uccisi lo stesso Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta (Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro).

Il 25 maggio, il giorno del funerale, la moglie di Vito Schifani, la 22enne Rosaria, ha pronunciato in chiesa parole che hanno commosso l’Italia, per la disperazione e per il coraggio del perdono:

«Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani – Vito mio – battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato – lo Stato… – chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio di cambiare… loro non cambiano… se avete il coraggio… di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro… di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali, che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: “Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno”. Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo che avete reso questa città sangue, città di sangue… Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue – troppo sangue – di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti. Non c’è amore, non ce n’è amore, non c’è amore per niente».

Ugo Forno

Ugo FornoUgo Forno è un bambino molto particolare. Nato il 27 aprile 1932, il ragazzo ha 12 anni quando si trova coinvolto in uno scontro per difendere il ponte ferroviario sull’Aniene, vicino a Roma.
E’ il 5 giugno 1944 quando a Roma si cominciano ad attendere gli Alleati. I tedeschi prevedendo il loro arrivo decidono, per fermarli, di far saltare in aria il ponte che è parallelo alla via Salaria e che collega Roma con Firenze.
Ugo Forno ne sente parlare da alcuni uomini e decide di intervenire: prende un fucile e altre armi abbandonate, trovate in una grotta, e si dirige con altri amici a cercare dei volontari per fermare i tedeschi.
Gli uomini guidati da Ugo Forno arrivano vicino al ponte mentre i guastatori hanno quasi concluso il loro lavoro e cominciano a sparare per disturbarli. I tedeschi, che sanno che non sono gli americani a sparare, non riescono però a completare la loro opera. Per vendicarsi però, cominciano a rispondere al fuoco con un mortaio.
I colpi raggiungono alcuni ragazzi alle gambe, alle braccia e un ben due raggiungono Ugo, sul petto e in testa.
I tedeschi fuggono, Roma è ormai libera e quel ponte continua a collegare Roma con Firenze e oggi porta il suo nome. Quello di un ragazzo morto per la libertà.