Un angolo italiano in Scozia

C’è un pezzetto d’Italia in una delle estremità più settentrionali d’Europa. In una delle isole Orcadi, paradiso naturale situato a nord della Scozia (e raggiungibile con antediluviani bimotori a elica), si trova infatti una piccola cappella tutta italiana, l’Italian Chapel, appunto. Un gioiellino che, dietro la bellezza che emana, racchiude storie di guerra. Ma anche di speranza e di fede.

Nel 1942, circa 1300 soldati italiani, catturati dall’esercito britannico in Nord Africa, furono condotti prigionieri proprio nelle isole Orcadi, per essere impiegati nella costruzione delle barriere antisottomarino. Alle Orcadi, infatti, stanziavano, nella baia di Scapa Flow, navi della marina britannica, che da lì partivano per compiere operazioni di guerra. Già durante la Grande Guerra la zona era stata teatro di affondamenti di navi inglesi da parte tedesca (i relitti sono ancora oggi visibili), ma l’affondamento della Royal Oak, nel 1939, aveva convinto gli inglesi della necessità di bloccare l’ingresso degli U-boot tedeschi nella baia. A questo scopo le isole orientali furono collegate tra loro da immense barriere di massi, su cui poi furono costruite strade di collegamento. Le barriere sono oggi conosciute come Churchill Causeway. A costruirle ebbero parte importante proprio i prigionieri italiani.

Sulla più piccola delle isole, Lamb Holm, a sud del villaggio di St. Mary’s, grazie agli auspici del comandante del campo di prigionia (il maggiore T.P. Buckland), di un sacerdote (padre Gioachino Giacobazzi) e di un prigioniero dall’abilità di un vero artista (Domenico Chiocchetti), gli italiani vollero edificare una cappella, servendosi di uno dei rifugi del campo e di materiale di seconda mano. Ciò che ne venne fuori fu quella che è diventata una tappa obbligata per chiunque visiti le Orcadi, una preziosa costruzione cui gli isolani (tra cui P.N. Sutherland Graeme, proprietario dell’isolotto di Lamb Holm) sono così affezionati da aver fatto di tutto per salvarla anche dopo la guerra. La cappella, colorata e viva, ma tutt’altro che pacchiana, esternamente è piuttosto anonima, se si eccettua la facciata, bianca e rossa, che le conferisce un tono allegro. Internamente è invece tutta affrescata e decorata con motivi delicati, che nascondono il grigiore delle pareti del rifugio del campo. Sulla parete dell’altare, troneggia una splendida Regina Pacis, splendido augurio di pace in tempo di guerra, mentre ai lati due finestrine colorate (con i santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena) arricchiscono di luce e di calore la piccola cappella. Davanti all’altare, un cancelletto in ferro battuto fa da cornice alle decorazioni sacre. Lo stesso Domenico Chiocchetti, rintracciato dopo la guerra dalla Bbc, provvide al restauro delle uniche tracce di quel campo di prigionia smantellato: la cappella italiana e, di fronte a essa, la statua di San Giorgio, costruita con una struttura di filo spinato ricoperto di cemento, e alla cui base sono iscritti i nomi di tutti i prigionieri italiani. Oggi, accanto alla cappella, si trova anche un grazioso crocifisso in legno intagliato, donato alle Orcadi dal Comune di Moena, paese di residenza del nostro soldato-pittore.

Tra le altre cose, la cappella ospita oggi alcune manifestazioni del St. Magnus Festival.





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