Dalla mafia non si può uscire

Nicola Gratteri è uno di quei magistrati-eroi che da anni sta combattendo contro la mafia (in particolare lui si occupa di quella calabrese, la ‘ndrangheta), vivendo in completo isolamento, protetti dallo Stato perché la loro vita è in pericolo e lo sarà sempre (la mafia non dimentica). In questo breve brano, spiega perché la mafia entra in conflitto con la nostra civiltà giuridica: se è possibile rieducare un serial killer o un terrorista, è impossibile recuperare un mafioso, perché dalla mafia non si può uscire se non con la propria morte.

In vent’anni un mafioso entra in carcere tre o quattro volte, con altrettanti processi e costi spaventosi per lo Stato. E non mi riferisco solo ai costi della giustizia, ma penso alle vittime, alla società, per le quali ci sono sempre meno garanzie. E’ pura illusione pensare di recuperare i mafiosi, convincendoli a cambiare vita. Nella ‘ndrangheta, come in Cosa Nostra, si entra e si esce col sangue. Non ci sono altre vie d’uscita. Lo diceva anche Giovanni Falcone: scegliere di far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi.

(da Nicola Gratteri, La malapianta. La mia lotta contro la ‘ndrangheta, Mondadori, 2010, pp. 18-19)





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