Uomo del mio tempo

Tratta da Giorno dopo giorno, Mondadori, 1994

Caino e Abele - Gustave Dorè

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

In questi bellissimi versi, Salvatore Quasimodo fa un duro paragone tra l’uomo primitivo e l’uomo di oggi. L’uomo moderno, per il poeta, non è meno crudele e insensibile dell’uomo antico: è lo stesso uomo che metteva le persone alla forca, lo stesso uomo che usava la ruota per torturare, con la stessa voglia di uccidere e lo stesso odore di sangue che aveva Caino quando ha ucciso suo fratello Abele, come dice la Bibbia.
Dopo queste dure parole, Quasimodo si rivolge ai figli di oggi e chiede di rinnegare e dimenticare i propri genitori, perché il loro cuore è coperto da pensieri crudeli.





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