13 settembre 1966

Giuseppe UngarettiLe mani con un tremito
del telefono stringevano il filo;
mi aveva poco prima
recato la tua voce
che mi diceva addio.

Un vagante raggio ebbe la luce,
tenue filo dell’anima
del mio bacio donato
solo dal desiderio.

Ma dall’esilio ci libererà
l’ostinato mio amore.

di Giuseppe Ungaretti

La madre

In questa poesia del 1929, Giuseppe Ungaretti immagina di ricongiungersi a sua madre in cielo, nel momento della sua morte. Ungaretti immagina che lei lo stia aspettando e che quando la rivedrà lei gli dirà la mano come faceva quando era bambino.

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Stella

StellaStella, mia unica stella,
nella povertà della notte, sola,
per me, solo, rifulgi;
ma, per me, stella
che mai non finirai d’illuminare,
un tempo ti è concesso troppo breve,
mi elargisci una luce
che la disperazione in me
non fa che acuire.

di Giuseppe Ungaretti

Lucca

“Lucca” di Giuseppe Ungaretti è una poesia scritta nella maturità dal poeta. Ungaretti ripercorre la sua vita dall’Egitto a Lucca. Il terrore, l’angoscia e la rassegnazione di questa vita che volge al termine, nella terra dei padri, chiudono il cerchio della sua esistenza ormai senza desideri.

Giuseppe Ungaretti

A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre
ci parlava di questi posti.
La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.
La città ha un traffico timorato e fanatico.
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
Mi sono seduto al fresco sulla porta dell’osteria con della gente
che mi parla di California come d’un suo podere.
Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.
Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti.
Ho preso anch’io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.
Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d’avvenire quanto un uomo può saperne.
Conosco ormai il mio destino, e la mia origine.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.
Alleverò dunque tranquillamente una prole.
Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortali, lodavo
la vita.
Ora che considero, anch’io, l’amore come una garanzia della specie,
ho in vista la morte.

di Giuseppe Ungaretti