Io

Ermanno Bencivenga è un professore di filosofia. Nel 1991 scrive un libro che si chiama “La filosofia in trentadue favole” in cui prova a trattare alcuni temi filosofici attraverso delle narrazioni che ricordano le favole dell’infanzia. 

Soggetto

C’era una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva “Chi sei?” e io rispondevo “Sono io”, e non andava bene. Era vero, perchè io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio. Eppure non andava bene lo stesso: l’altro faceva uno sguardo imbarazzato e si alontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo “Sono io”, ed era vero, e non c’era un modo migliore, più completo, più giusto di dirgli chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome, e se adesso mi si chiede chi sono rispondo: “Giovanni Spadoni”. Non è un granchè, come risposta: se mi si chiedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perché, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio. Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è Giovanni Spadoni: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni gli altri mi chiedono dove e quando sono nato, dove abito, chi erano mio padre e mia madre. Io gli rispondo e loro sono contenti. E forse sono contenti perché credono che io sia quello che è nato nel posto tale e abita nel posto talaltro, e che è figlio di Tizio e di Caia e padre di questo e di quello. Il che non è vero, ovviamente: non c’è niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio e Caia. Se fossi nato altrove, in un’altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io: è questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa dell’altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c’ero io, e non andava bene. Adesso c’è Giovanni Spadoni, che è nato a X e vive a Y e così via. E io non sono niente di tutto questo. Ma le cose vanno benissimo.

tratto da La filosofia in trentadue favole, Ermanno Bencivenga

Lo scorpione e la rana

La rana e lo scorpione

Uno scorpione doveva attraversare un fiume ma non sapeva nuotare, e quando vide una rana le chiese un passaggio.
La rana rispose: “Se ti carico sulle mie spalle tu mi pungi di sicuro!”.
E lo scorpione rispose: “Che interessi avrei a pungerti? Sono sulle tue spalle, affogheremmo tutti e due”.
La rana ci pensò su per un po’ e alla fine accettò. Si mise lo scorpione sulle spalle e si buttò in acqua.
Ma a metà strada si sentì un improvviso bruciore su un fianco, e capì che lo scorpione l’aveva punta.
Così mentre affondavano nelle onde, la rana gridò: “Ma perché mi hai punto? Stupido! Ora annegheremo tutti e due!”.
E lo scorpione rispose: “Non posso farne a meno, è nella mia natura”.

I chicchi di caffè

CuocoUna ragazza si lamentava con suo padre della sua vita e di come le cose le risultassero tanto difficili. Non sapeva come fare per andare avanti e voleva di darsi per vinta. Era stanca di lottare. Sembrava che quando risolveva un problema, ne apparisse un altro.
Suo padre, uno chef di cucina, la portò un giorno al suo posto di lavoro. Lì riempì tre pentole con acqua e le pose sul fuoco. Quando l’acqua delle tre pentole stava bollendo, in una mise carote, in un’altra mise uova e nell’ultima mise dei chicchi di caffè. Lasciò bollire l’acqua senza dire parola. La ragazza aspettò impazientemente, domandandosi cosa stesse facendo il padre. Dopo venti minuti il padre spense il fuoco. Tirò fuori le carote e le mise in una scodella. Tirò fuori le uova e le mise in un altro piatto. E alla fine filtrò il caffè e lo mise in un terzo recipiente. Poi guardò sua figlia e disse: “Cara figlia mia, carote, uova o caffè?” fu la sua domanda. La fece avvicinare e le chiese che toccasse le carote, lei lo fece e notò che erano soffici, dopo le chiese di prendere un uovo e di romperlo, mentre lo tirava fuori dal guscio, osservò l’uovo sodo. Chicchi di caffèDopo le chiese che provasse il caffè, lei sorrise mentre godeva del suo ricco aroma. Umilmente la figlia domandò: “Cosa significa questo, papà?”. Lui le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità, “l’acqua bollente”, ma avevano reagito in maniera differente. La carota arrivò all’acqua forte, dura, superba; ma dopo avere passato per l’acqua, bollendo era diventata debole, facile da disfare. L’uovo era arrivato all’acqua fragile, il suo guscio fine proteggeva il suo interno molle, ma dopo essere stato in acqua, bollendo, il suo interno si era indurito. Invece, i chicchi di caffè erano unici: dopo essere stati in acqua, bollendo, avevano cambiato l’acqua.
“Quale sei tu, figlia?” le chiese. “Quando l’avversità suona alla tua porta; come rispondi? “Sei una carota che sembra forte ma quando l’avversità ed il dolore ti toccano, diventi debole e perdi la tua forza? Sei un uovo che comincia con un cuore malleabile e buono di spirito ma che dopo una morte, una separazione, un licenziamento, una pietra durante il tragitto diventa duro e rigido? Esternamente ti vedi uguale, ma sei amareggiata ed aspra, con uno spirito ed un cuore indurito? O sei come un chicco di caffè? Il caffè cambia l’acqua, l’elemento che gli causa dolore. Quando l’acqua arriva al punto di ebollizione il caffè raggiunge il suo migliore sapore”. “Se sei come il chicco di caffè, quando le cose si mettono peggio, tu reagisci in forma positiva, senza lasciarti vincere, e fai in modo che le cose che ti succedono migliorino, che esista sempre una luce che illumini la tua strada davanti all’avversità e quella della gente che ti circonda. Per questo motivo non mancare mai di diffondere con la tua forza e positività il “dolce aroma del caffè”.

Il caffè

Alda MeriniC’è un caffè, giù sulla Ripa, gestito da due sorelle dove io mi ritrovo tutti i giorni insieme ad altre compagne di sventura. Sì, perché la vita è una enorme assurda sventura. I nostri discorsi li conosciamo a memoria come conosciamo a memoria la vita l’una dell’altra. Abbiamo tutte un punto debole, un punto doloroso di cui parliamo sempre e questo caffè somiglia o un confessionale o a un luogo di psicoterapia piuttosto che a una birreria.
Una volta un tizio mi disse che non davo buono spettacolo facendomi vedere lì dentro mentre le altre massaie rassettavano la casa, ma io mi ero messa a ridere; e dove la trovavo io la forza di andare avanti, se nessuno mi parlava mai? Sì, d’accordo, erano discorsi scuciti di gente molto vicina all’arteriosclerosi, ma in fondo erano discorsi umani accorti, anzi con un certo piglio signorile perché le persone che frequentavano questo bar avevano tutte licenza di credere che sarebbero state persone altolocate se il caso fosse stato benigno.
Beh, ecco, il baretto consta di un largo pancone e poche sedie per le persone più anziane, ma ci si trova bene e si addice meravigliosamente al Naviglio che sta di fronte. Fuori la scritta “La Madonina” precisa che ci troviamo proprio a Milano, nel cuore della vecchia città, che non ci possiamo sbagliare e che lì dentro è tutto milanese; le sorelle poi che gestiscono il locale – il quale non ha subito modifiche da oltre un centinaio di anni – sono abilissime e curiose, quel tanto di curiosità che basta a farti dire con piacere le tue cose private come se ti scaricassi di un lungo inveterato peso.
Cafè de flore  - Cartier Bresson“La Madonina”: ecco il mio punto fermo nella vita e alle volte vorrei scrollarmelo di dosso come un piacere che non merito, a volte mi dico che ho cose più urgenti da fare, che non è giusto che una madre di famiglia si sieda a prendere un buon caffè; ma poi mi consolo pensando che sì, in fondo, non vado mai dal parrucchiere, che non ho altri sfoghi e così mi adagio serenamente nella poltrona del piccolo caffè e lì comincio a dipanare ricordi senza fine e senza nome sulla scie dei discorsi degli altri, fumandomi qualche sigaretta, regalata anche quella dall’alice che è la più giovane delle sorelle.
Così, ecco un punto fermo. Credo che tutti nella vita ne abbiano bisogno uno; chi se lo fa al bar, chi in altri posti, chi persino in chiesa. E poi – lo crederesti, lettore? – in questo bar qualche volta si prega: sì, perché, vedete, siamo tutte persone spaurite che andiamo a rifugiarci lì dentro a chiedere una grazia – solo che questa grazia invece di chiederla a Dio la chiediamo a una buona tazza di caffè.

(tratto da Alda Merini, Il ladro Giuseppe, Milano, Scheiwiller, 1999)

I sentimenti degli uomini

IsolaC’era una volta un’isola, dove vivevano tutti i sentimenti e i valori degli uomini: il Buon Umore, la Tristezza, il Sapere… così come tutti gli altri, incluso l’Amore.

Un giorno venne annunciato ai sentimenti che l’isola stava per sprofondare, allora prepararono tutte le loro navi e partirono, solo l’Amore volle aspettare fino all’ultimo momento.
Quando l’isola fu sul punto di sprofondare, l’Amore decise di chiedere aiuto.

La Ricchezza passò vicino all’Amore su una barca lussuosissima e l’Amore le disse: “Ricchezza, mi puoi portare con te?” e la ricchezza rispose: “Non posso c’é molto oro e argento sulla mia barca e non ho posto per te te.”

L’Amore allora decise di chiedere all’Orgoglio che stava passando su un magnifico vascello:”Orgoglio ti prego, mi puoi portare con te?”, “Non ti posso aiutare, Amore…” disse l’Orgoglio “qui é tutto perfetto, potresti rovinare la mia barca”.

Allora l’Amore chiese alla Tristezza che gli passava accanto
“Tristezza ti prego, lasciami venire con te”, “Oh Amore” rispose la Tristezza, “sono così triste che ho bisogno di stare da sola”.

Anche il Buon Umore passò di fianco all’Amore, ma era così contento che non sentì che lo stava chiamando.

All’improvviso una voce disse:
“Vieni Amore, ti prendo con me”. Era un vecchio che aveva parlato. L’Amore si sentì così riconoscente e pieno di gioia che dimenticò di chiedere il nome al vecchio. Quando arrivarono sulla terra ferma, il vecchio se ne andò.

L’Amore si rese conto di quanto gli dovesse e chiese al Sapere: “Sapere, puoi dirmi chi mi ha aiutato?”,”E’ stato il Tempo” rispose il Sapere.

“Il Tempo?”, si interrogò l’Amore, “Perché mai il Tempo mi ha aiutato?”. Il Sapere pieno di saggezza rispose:”Perché solo il Tempo è capace di comprendere quanto l’Amore sia importante nella vita”.