Dialogo tra Madonna Morte e un cavaliere

Giorgio Latis era un ragazzo ebreo cacciato da scuola nel 1938 che ha partecipato alla Resistenza nelle fila di “Giustizia e Libertà”, venendo ucciso dai nazisti al momento della Liberazione. Questo è un dialogo teatrale, sul modello della letteratura medievale, tra la Morte e un Cavaliere.

Cavaliere

Il cavaliere giace semidisteso su un divano: è giovane e bello, indossa un ricco, elegante costume di sera; in mano tiene una rosa che di tanto in tanto porta alle labbra.

Entra Madonna Morte.

CAVALIERE. Buonasera Madonna.
MORTE. Buonasera Cavaliere.
CAVALIERE. Già da molto, Madonna, vi aspettavo, voi lo sapete, e vi chiamavo…
MORTE. Ed io, da molto ascolto il vostro richiamo.
CAVALIERE. Senza risponder mai, né farmi cenno d’aver udito. Ma che importa, ormai siete arrivata. Non volete sedere?
MORTE. No, il cammino per giungere sin qui mi è stato lieve; pensavo a voi che aspettavate. E poi, forse, non mi potrò fermare a lungo.
CAVALIERE. Mi porterete via con voi?
MORTE. E voi verreste via con me?
CAVALIERE. Allora perché vi avrei chiamata?
MORTE. Allora perché sarei venuta?

Pausa.

CAVALIERE. Vi ho tanto atteso, Madonna, e ora quasi mi sembra che vi vogliate un poco burlare di me.
MORTE. Non più di quanto il vostro abito me lo consenta.
CAVALIERE. Non si può, Madonna, attendere la Morte in abito marrone, seduti ad un tavolo d’ufficio; e una rosa sperduta tra le mani è assai più dolce di un telefono.
MORTE. Tuttavia mi piacete, Cavaliere, e cercherò di conquistarvi.
CAVALIERE. Io sono sempre stato vostro, Madonna, farò quanto mi ordinerete finché avrò un soffio di vita.
MORTE. Anche questo fa parte dell’abito di seta; e anche per questo mi piacete.
CAVALIERE. Per che cosa ancora, Madonna?
MORTE. Per Madamigella Vita, il cui nome sboccia tra le vostre labbra come la rosa che stringeste, un giorno, al suo roseto.
CAVALIERE. Io sarei lieto di potervela offrire, se la vorrete accettare dalle mie mani.
MORTE. La vita o la rosa, Cavaliere?
CAVALIERE. Ne dubitate, Madonna?
MORTE. Il Signore vi ha elargito i suoi doni a piene mani; siete bello…
CAVALIERE. Dite piuttosto di fattezze umane.
MORTE. …e nobile…
CAVALIERE. Dite raffinato, Madonna.
MORTE. …e generoso.
CAVALIERE. Dite prodigo, Madonna.
MORTE. E amate Madamigella Vita con ogni battito del vostro cuore, e anch’essa vi ama, tanto che non voleva lasciarmi accorrere da voi.
CAVALIERE. Amo voi, Madonna; Madamigella Vita mi ha dato troppo poco perché la possa amare ancora.
MORTE….come una volta.
CAVALIERE. Perché la possa ancora amare.
MORTE. E se io vi dessi altrettanto?
CAVALIERE. Vi odierei, ma voi mi togliete tutto. Che belle mani avete, e lunghe e affusolate…
MORTE. Per tanto filare il destino degli uomini.
CAVALIERE. …e forti.
MORTE. Per tanto spezzarlo.
CAVALIERE. Datemi solo un momento la vostra mano. Ecco. Dio com’è fredda. Eppure brucia come se fosse di fuoco.
MORTE. Invece le mani di Madamigella Vita sono morbide, tiepide e delicate.
CAVALIERE. Le vostre sono ambrate.
MORTE. E rosate le sue, come i petali di questa rosa alla quale vi afferrate, chiamando me.
CAVALIERE. Già una volta ve l’ho offerta, Madonna.
MORTE. La vedreste avvizzire, tra le mie mani.
CAVALIERE. Se voi non mi aiutate, non vi potrò seguire con le mie sole forze.
MORTE. Se con le vostre sole forze non riuscirete, Cavaliere, io certo non vi potrò aiutare.
CAVALIERE. Mi attirate e mi respingete, mi guardate con dolcezza eppure non mi vedete.
MORTE. Cerco di attraversare il vostro abito di seta.
CAVALIERE. Il mio abito di seta fa parte di me stesso. Non ho altra difesa davanti a voi.
MORTE. Il vero amore si abbandona, non ha bisogno di difesa.
CAVALIERE. Il vero bisogno deve rivestirsi d’un abito, altrimenti, per tanto annullarsi, si perderebbe.
MORTE. Avete paura di perdervi?
CAVALIERE. Prima di avervi trovata, sì, ho paura.
MORTE. Mi ritrovereste, io vi ritroverei.
CAVALIERE. Il nulla mi spaventa, Madonna.
MORTE. Mentre la Vita vi dà poco, ma certo.
CAVALIERE. Ma inutile. La odio.
MORTE. Odiate la Vita e temete la Morte, allora cosa volete, Cavaliere?
CAVALIERE. L’amore, Madonna.
MORTE. L’amore bisogna conquistarlo; l’amore, Cavaliere, è il dono che ha più caro prezzo…

(Qui il dialogo è rimasto interrotto)

Il tradimento

Mina non è solo una delle più grandi cantanti italiani ma è anche una donna da una scrittura molto arguta e sintetica. In questo passo che vi proponiamo, preso da un suo intervento in una rivista, parla del tradimento.

Donna

Hanno ragione tutti. Chi vuole tradire per indole tradisca. Chi vuole tradire perche si sente trascurato tradisca. Chi vuole tradire per noia tradisca. Chi vuole tradire per allegria tradisca. Chi vuole tradire per leggerezza tradisca. Chi vuole tradire per abitudine tradisca. Chi vuole tradire per troiaggine tradisca… Padroni … Ma ripeto e ripeto e ripeto ancora: chi ama non tradisce.

(da Vanity Fair, n. 59, 25 novembre 2004)

E’ durato poco

AmantiE’ durato poco
ti ricordi
la tovaglia a fiori rossi
il bicchiere che sapeva d’uovo
l’acquazzone improvviso
i campi arruffati e vetrosi
gli archi di pietra serena
il giornale sulla testa
ingoiavi frutti di mare gonfi di pomodoro
il fango dentro le scarpe di tela
l’odore aspro di menta pestata
il nostro abbracciarci insaziabile
la lite nell’ascensore
la buccia di cocomero sul davanzale
ti ricordi
il fresco delle lenzuola
la finestra aveva una cresta di stelle arancioni
soffrivo di mal di pancia
la tua testa di ragazzo mi pesava sul petto
ti ricordi
è durato così poco ma dura ancora.

Andreuccio da Perugia

Andreuccio da PerugiaAndreuccio era un ragazzo che venne mandato a Napoli con una borsa piena di cinquecento fiorini con i quali avrebbe dovuto comperare un cavallo, dato che a Napoli c’era un buon mercato.
Una donna, astuta e furba, vista la ricchezza che possedeva quel giovane, decise di sottrargliela pensando ad una beffa.
La bella donna invitò Andreuccio a casa sua e gli disse di essere la sorella che lui non sapeva di avere. La donna raccontò alcuni fatti reali e credibili e riuscì a convincere il povero Andreuccio.
Dopo esser stato ripetutamente invitato a passar la notte in quella casa, Andreuccio accettò e venne messo in una stanza. Dopo averla raggiunta e essersi spogliato, Andreuccio si diresse verso il bagno dove sfortunatamente inciampò e cadde a terra dolorante.
Approfittando dell’occasione, la donna entrò nella stanza e rubò la ricca borsa.
Il povero Andreuccio, trovatosi rinchiuso nel bagno, trovò una via di uscita sopra la sua testa e scavalcando un muro si accorse di essere di fuori dall’edificio.
Si trovò, però, senza i suoi averi, e allora bussò di nuovo e gridò alla porta svegliando un grosso e pauroso uomo che affacciandosi minacciò il giovane che, per la paura, scappò.
Per la strada incontrò due briganti che volevano profanare una tomba in una chiesa dove c’era il corpo di un ricco arcivescovo che era  stato sepolto con un tesoro.
Il giovane partecipò pensando di poter guadagnare qualcosa, ma sapeva anche che i due l’avrebbero sicuramente tradito. Aperta la tomba, i due costrinsero Andreuccio ad entrarci ma lui, furbo, prese subito l’anello che era l’oggetto più prezioso e passò fuori dalla tomba tutto il resto. Sapeva che i due l’avrebbero chiuso dentro e così, infatti, successe.
Andreuccio si ritrovò rinchiuso e senza possibilità di uscire, ma ad un certo punto sentì delle voci e tra queste voci c’era quella di un prete che, per mostrare ai suoi amici di non aver paura dei morti e di avere coraggio, mise le gambe nella tomba ma si sentì afferrare da Andreuccio. Subito il prete gridò per la paura e saltò fuori e tutti scapparono lasciando l’apertura che permise così ad Andreuccio di uscire.
E vendendo l’anello, Andreuccio poté ripagarsi di tante ingiustizie che gli erano capitate.

adattato da Andreuccio da Perugia, in Decameron, di Giovanni Boccaccio

Canzone di Bacco

Lorenzo de’ Medici, chiamato anche Lorenzo Il Magnifico, è stato il signore di Firenze nella seconda metà del ‘400. Era un uomo di grande cultura e si circondava di grandi intellettuali. Questo componimento è stato scritto verso il 1490 e fa parte dei Canti carnascialeschi (canti di carnevale) ed è un invito a godere la vita e la giovinezza: chi vuol esser lieto (contento) sia (provi ad esserlo) di domani non c’è certezza!

BaccoQuant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ‘l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe e altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Queste ninfe anche hanno caro
da loro esser ingannate:
non può fare a Amor riparo,
se son gente rozze e ingrate:
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Questa soma, che vien drieto
sopra l’asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto
già di carne e d’anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s’altri poi non si contenta?
Che dolcezza vuoi che senta
chi ha sete tuttavia?
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi sian, giovani e vecchi,
lieti ognun femmine e maschi;
Ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò ch’ha a esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.