Vin brulé

Il vin brulé è una bevanda calda fatta con il vino e diverse spezie. L’origine di questa bevanda è molto antica e ne sono state trovate tracce anche nella città romana di Pompei.
Nel Medioevo, il vin brulé viene preparato da molti frati come rimedio contro il raffreddore e così è stato trasmesso anche da molte nonne.
Oggi questa bevanda si beve soprattutto in montagna e nel periodo natalizio ed è diffusa in molti paesi del nord Europa.

Il nome italiano, vin brulé, viene da uno pseudo francesismo e vuol dire: vino bruciato.

Vin brulé

Il vin brulé è facile da preparare in casa ed esistono molte variazioni e ricette. Questa è la nostra:

1 litro di vino rosso secco e corposo
1 stecca e ½ di cannella
10 chiodi di garofano
1/5 di noce moscata grattugiata
3 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di miele

A questi ingredienti si possono aggiungere:
3-4 scaglie di buccia di limone
4 semi di cardamomo
4 bacche di ginepro

Bisogna mescolare tutti gli ingredienti in una pentola e metterla sul fuoco. Appena il composto comincerà a bollire basterà aspettare altri due minuti perché sia pronto.
Per renderlo più leggero è possibile cuocerlo più a lungo o aggiungere dell’acqua all’inizio.
La bevanda va servita bollente.

Una variazione si può fare una volta servito nei bicchieri aggiungendo un cucchiaio di amaretto nella tazza.

L’estate di San Martino

La divisione del mantello - SImone Martini

Secondo la tradizione, i giorni di novembre in cui, nonostante l’autunno inoltrato, il clima diventa più mite si chiamano “estate di San Martino”.
Martino da Tours è nato in Pannonia (oggi Ungheria), nel IV secolo e si è poi trasferito da ragazzo a Pavia. Ha intrapreso la carriera militare e per questo è stato inviato in Gallia. Qui è avvenuto un episodio che lo ha trasformato: incontrato un mendicante infreddolito, Martino ha tagliato metà del suo mantello e gliel’ha donato. Quella notte gli è apparso Gesù in sogno: infatti Cristo, in un celebre discorso raccontato da Matteo (25, 31-46), ricorda che è dovere di tutti i cristiani aiutare chi è povero e in difficoltà, perché chi veste un povero veste Gesù stesso. Dopo questo episodio, Martino ha chiesto il battesimo e ha iniziato a condurre vita da monaco, diventando presto anche vescovo di Tours.
La tradizione popolare dice che, quando Martino ha regalato il mantello, il cielo si è schiarito ed è tornato il sole. Da qui nasce l’espressione “estate di San Martino”.

Ci si abitua ad essere amati

“16 ottobre 1943” è un libro molto interessante, scritto da Giacomo Debenedetti. Il testo parla della deportazione degli ebrei da Roma. Ma in queste parole l’autore fa una digressione e parla dell’amore, di come ci si abitua ad essere amati e quanta fatica costa poi tornare a meritarcelo.

Amore

 

“Senza dire che, ai privilegi e benefizi, è troppo facile adattarsi. Le agevolezze di vita rendono superficiali, assecondano le riparatrici e già troppo spontanee lablità della memoria. I dolori di ieri si dimenticano, anche e proprio quando furono più luttuosi e cocenti, e si dimentica quanto cordoglio e quante angosce sia costato questo bene, che oggi pare largito appunto per aiutarci a dimenticare. Ci si abitua a essere amati, a vivere con facilità; e l’abitudine rischia di diventare presto un bisogno, e il bisogno acquisito rischia di creare la presunzione di un diritto. Può, questa nostra, parere una riottosa, bizzosa, vittimistica, incontentabile paura di essere amati. Ed è soltanto paura di essere gratuitamente amati, ingiustamente amati, cioè male amati: non più costretti a far nulla per meritarci questo amore. Ma domani, inevitabilmente dovremo ricominciare a meritarcelo: e allora? non saremo stati viziati?”.

da 16 ottobre 1943, Giacomo Debenedetti

Mercoledì delle Ceneri

Mercoledì delle Ceneri - Riccardo Tommasi Ferroni

Il Mercoledì delle Ceneri è il mercoledì precedente la prima domenica di Quaresima, il periodo di penitenza prima di Pasqua.
In questo giorno, nel rito cattolico romano, inizia la Quaresima con il digiuno e l’astinenza dalla carne (da questo viene la parola Carnevale, cioè “carnem levare”, quindi togliere la carne).
Nel Mercoledì delle Ceneri si cosparge sulla testa o sulla fronte dei fedeli la cenere benedetta per ricordar loro la brevità della vita terrena; a questo gesto si accompagnano le parole “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai” per spingerli ad un impegno maggiore nel periodo di Quaresima.

Auschwitz

Auschwitz

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.

Tu non vuoi elegie, idilli: solo
ragioni della nostra sorte, qui,
tu,tenera ai contrasti della mente,
incerta a una presenza
chiara della vita. E la vita è qui,
in ogni no che pare una certezza:
qui udremo piangere l’angelo il mostro
le nostre ore future
battere l’al di là, che è qui, in eterno
e in movimento, non in un’immagine
di sogni, di possibile pietà.
E qui le metamorfosi, qui i miti.
Senza nome di simboli o d’un dio,
sono cronaca, luoghi della terra,
sono Auschwitz, amore. Come subito
si mutò in fumo d’ombra
il caro corpo di Alfeo e d’Aretusa!

Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: «Il lavoro vi renderà liberi»
uscì continuo il fumo di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dei canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette d’ amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
o di sciarpe d’ebrei:sono reliquie
d’un tempo di sagezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.